Cassandra Fedele (1465-1558)

Giacomo Filippo Tomasini, primo editore di Cassandra Fedele, nel 1636 apriva la princeps delle Epistolae et Orationes [1] con la celebrazione di questa «femina clarissima», devota agli studi e lodata dai contemporanei; e tuttavia in area italiana Fedele è oggi figura poco frequentata nella discussione attorno a Umanesimo e Rinascimento. La vastità delle sue relazioni, testimoniate da un ricco, seppur mutilo, epistolario, testimonia uno spessore storico-letterario che non proviene solo dal riflesso di illustri interlocutori, ma anche da una voce epistolare e oratoria pienamente integrata al fermento culturale coevo.

Fedele è una figura di umanista significativa sotto molteplici aspetti: l’inclusione negli ambienti intellettuali coevi, la diffusione della sua fama già in vita, il riconoscimento post mortem sono solo alcune delle peculiarità che ne tratteggiano i caratteri. Nacque nel 1465 da Barbara Leoni e Angelo; la famiglia Fedele o Fedeli, originaria di Milano, si stabilì a Venezia dopo la caduta in disgrazia della famiglia Visconti, a cui era legata da interessi politici ed economici. All’interno della Serenissima, sembra che la famiglia abbia acquisito uno status vicino al patriziato, lavorando a stretto contatto con illustri personalità della Repubblica di Venezia.

Gran parte delle informazioni sulla vita di Cassandra Fedele furono raccolte da Tomasini, chierico padovano, in apertura all’edizione postuma, sopracitata, delle orazioni ed epistole della donna. È Tomasini a riportare la biografia di Fedele con dovizia di dettagli, a partire dal cursus studiorum fortemente incoraggiato dal padre e basato sull’apprendimento delle lingue classiche, sia nello scritto che nel parlato; ottenuta una precocissima padronanza di queste, la ragazza si sarebbe accostata allo studio della filosofia e delle scienze naturali, per poi approdare agli studi teologici con il sostegno di Gasparino Borro, frate servita.

La cultura di Cassandra Fedele divenne nota ai più grazie ad un’orazione pronunciata nel 1487 presso l’Università di Padova, in occasione della laurea del parente Bertuccio Lamberti, e che fu stampata in tre incunaboli negli anni immediatamente successivi; a partire da quest’occasione, l’epistolario di Fedele, purtroppo incompleto, testimonia corrispondenze con eminenti figure politiche e intellettuali, così come un fitto scambio personale con numerosi personaggi della medietas umanistica veneta.

Un piccolo censimento dei destinatari della raccolta epistolare restituisce un quadro composito, che accosta Francesco Gonzaga a Niccolò Leonico Tomeo, Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona ad Aurelio Augurelli, Gaspare Sanseverino a Giambattista Scita. Sopravvive un nucleo di epistole all’interno dell’illustre cerchia familiare di Eleonora d’Aragona, consorte di Ercole I d’Este (e prima, di Sforza Maria Sforza, terzogenito di Francesco e Bianca Maria Visconti): Fedele è in corrispondenza con la signora di Ferrara, con la sorella Beatrice d’Ungheria, con la figlia Beatrice d’Este e con il consorte di quest’ultima, Ludovico Maria Sforza (il Moro). Non mancano eminenti religiosi, come Domenico Grimani, cardinale di Aquileia, papa Leone X, numerosi frati e chierici di minor grado ecclesiastico. Un interessante nucleo di corrispondenti si situa in Dalmazia: Benedikt Mišulić (Benedictus Missolus, epist. XXXI in Tomasini) e Ambroz Mihetić (Ambrosius Miches, epist. XCV-XCVI in Tomasini), ai quali si aggiunge Pavao Paladinić (Paolo Paladini), nel cui canzoniere è compresa una lirica in onore di Cassandra Fedele, trascurata dall’edizione di Tomasini.[2] L’evidenza, dimostrata anche dal tono delle singole lettere, è che il chierico abbia assemblato la sua edizione con l’intento di includervi la maggior varietà possibile di destinatari, eliminando interi scambi epistolari a vantaggio di una prestigiosa numerosità.

Cassandra Fedele sposò, non prima del 1500, Giammaria Mapelli, medico vicentino, e lo seguì a Creta, dove l’uomo aveva ricevuto incarico pubblico di esercitare la professione; il ritorno in patria fu segnato da un naufragio, che attentò alla vita dei coniugi e portò alla perdita di tutti i loro beni imbarcati. Nel 1520 la morte del marito lasciò Fedele in pesanti ristrettezze economiche, che spinsero la donna a richiedere presso papa Leone X un incarico stipendiato all’interno delle numerose istituzioni religiose veneziane; inascoltata, ripeté sicuramente la richiesta a Paolo III, in una lettera del 1547 edita da Maria Petrettini.[3] Le fu dunque affidata la gestione dello spedale di S. Domenico in Castello. L’ultima occasione pubblica di Cassandra Fedele sembra essere stata un’orazione di benvenuto per la visita a Venezia di Bona Sforza, regina consorte di Polonia, nel 1556.

Nella sua raccolta Monumenta selecta conventus Sancti Dominici Venetiarum,[4] il frate Giovanni Domenico Armano riporta le informazioni su Cassandra contenute nel necrologio del convento:

In Necrologio Conventus haec habentur: Anno MDLVIII, XXVI Martii sepulta fuit D. Cassandra Fidelis in prima parte Claustri prope sepulturam de Alberghetis. Foemina fuit aevo suo litteris graecis, ac latinis, editisque operibus clarissima. Epistolae eius ac Orationes latinae typis vulgatae sunt Patavii apud Franciscum Bolzettam anno mdcxxxvi, curante Philippo Tomasino. Laudes eiusdem celebrant Politianus, Hermolaus Barbarus, et Sabellicus. Errat Sansovinus tumulo ipsam datam referens in Ecclesia.[5]  

La donna sarebbe quindi morta nel 1558; la ricostruzione di Tomasini descrive il feretro ornato dagli «assidui vitae Comites Libri» [i libri, continui compagni di vita], «consuetudine Doctoris recepta» [riprendendo la consuetudine dei Dottori],[6] e aggiunge la notizia di un monumento in onore di Fedele che sarebbe stato successivamente distrutto per rifacimenti architettonici; l’informazione, tuttavia, non è sostenuta da ulteriori testimonianze.

Ricezione

La fama di Cassandra Fedele emerge con chiarezza negli scritti dei biografi cinquecenteschi, colpiti dalle lodi che di lei aveva tessuto Angelo Poliziano: la sezione dedicata a «Cassandra Fedele Vinitiana» dell’Additione al De mulieribus claris ad opera di Giuseppe Betussi (1545)[7] si apre con una recusatio in cui l’autore sostiene la potenziale inutilità della sua biografia, giacché «quanto sia stata la virtù sua ella istessa ne ha dato chiarissimo testimonio al mondo»;[8] segue un ampio elogio alle occasioni di disputazione pubblica in cui Cassandra Fedele si sarebbe cimentata. Betussi, infine, si congeda agilmente:

Né contentandosi solamente dello studio, molto si dilettò di scrivere, et lasciar memoria della verità delle cose da lei trovate, et per non spender tempo a dir i meriti suoi, i quali a me pare di non sapere come vorrei, et ella merita particolarmente dichiarare, mi contenterò, parlando di alcun’altra, lasciar a più degno spirito di me questa honorata impresa.[9]

Ben nota è la menzione che di Cassandra Fedele fece Francesco Sansovino (figlio di Jacopo), nei suoi regesti di curiosità e informazioni notabili sulla città di Venezia: nel 1581, con Venetia città nobilissima et singolare,[10] e nel 1587, con Delle cose notabili della città di Venetia.[11] Più interessanti, però, sono altre citazioni, seppur brevi, che segnalano il posto di tutto rispetto che Cassandra Fedele sembra aver occupato nella memoria collettiva dei colti rinascimentali: nel 1548 Ortensio Lando cura, per i tipi di Giolito, una raccolta di specimina femminili secondo la moda del tempo, le Lettere di molte valorose donne.[12] In una di queste epistole l’autrice, la Duchessa d’Amalphi, incoraggia le imprese letterarie della sua interlocutrice utilizzando Cassandra Fedele come metro di successo letterario e intellettuale:

State sana et lieta et attendete a l’incominciata impresa, nella quale (se il spirito prophetico, in me non vaneggia) havete da riuscire maggiore assai di Damisella Trivulza di Cassandra Fedele et di Isotta Nugarola.[13]

Pochi anni dopo, la letterata appare in un curioso memoriale: all’interno della raccolta Cento giuochi liberali et d’ingegno, allestita da Innocenzo Ringhieri, il Giuoco de’ poeti vede Cassandra citata tra le «donne famose» da impersonare all’interno di un colto gioco d’imitazione.[14]

Opere

L’Oratio pro Bertucio Lamberto fu pubblicata per la prima volta nel 1488, l’anno immediatamente successivo al suo pronunciamento, a Venezia; la stampa veneziana fu base delle edizioni di Norimberga (1489)[15] e Modena (1494). Tutte le stampe fanno seguire al testo dell’orazione un’epistola di Ludovico Scledeo, umanista vicentino, con responsiva di Fedele, un’altra epistola di Angelo Tancredi, studente all’Università di Padova, e una lirica saffica di Francesco Pescennio Negri «in dictam Cassandram pistaeam».[16] La stampa di Norimberga aggiunge un’epistola diretta a Fedele di Peter Dannhauser, umanista tedesco, e il noto carme Ad Apollinis di Conrad Celtis, segnalando una linea di diffusione anche europea per la fama dell’intellettuale veneziana.

Le Epistolae et Orationes furono invece edite postume, nel 1636, nel già citato volume curato da Giacomo Filippo Tomasini; lo studioso organizzò i materiali manoscritti pervenutigli da amici e conoscenti dotti, premettendo loro una ricostruzione biografica della vita di Fedele e la riproduzione xilografica di un ritratto della stessa a sedici anni, che Tomasini sostiene essere stato eseguito da Giovanni Bellini.

In tutti gli scritti di Cassandra Fedele risulta evidente la piena partecipazione al fermento culturale umanistico: le epistole, intessute di tessere classiche e citazioni filosofiche, restituiscono l’immagine di un’intellettuale gravitante attorno ai più tipici temi della riflessione umanistica coeva, come l’elevazione dello spirito grazie allo studio e all’erudizione, la gloria che proviene dall’opera poetica e l’afflato divino che soggiace alla composizione letteraria.

Strategie retoriche

A questi elementi si accosta l’evidenza del distacco tra umanista uomo e umanista donna: Fedele ha sempre ben presente la propria condizione femminile, e la rende retoricamente produttiva, sfruttando spesso il topos del ‘superamento del proprio sesso’ e dell’abbandono delle attività tipicamente femminili, impiegato in modo magistrale anche da Poliziano nell’elogiarla:

[Tu, Cassandra] quae pro lana librum, pro fuco calamum, stylum pro acu tractes, et quae non cutem cerussa, sed atramento papyrum linas.[17]

L’elemento è tipico degli elogi alle dame colte del periodo: la donna erudita è un’eccezione, permessa dalle sue straordinarie qualità (o piuttosto dall’intercessione di padri, zii o tutori che ne incoraggiano l’istruzione là dove sia avvertita come portatrice di prestigio familiare), e in quanto tale è decus et virtus mulierum, figura che si presta all’idealizzazione e alla divinizzazione da parte dei suoi interlocutori.

Cassandra Fedele inoltre mette in atto una metafora continuata di rapporto padre-figlia (patronage) in numerose epistole ad interlocutori più anziani, espediente che neutralizza possibili giudizi esterni sulle relazioni potenzialmente disdicevoli tra donna nubile e uomini estranei al suo circolo familiare, e agevola l’inserimento in nuovi contesti culturali e amicali. Un chiarissimo esempio di questa strategia comunicativa è il congedo dell’epistola CII, diretta a Poliziano:

Reliquum est ut eisdem precibus orem, quibus soleo, ut me omnesque meos Marsilio Ficino nostro, ac Bartholomaeo Scalae uti patri viris doctissimis commendatos facias, nec non sorori meae praestantissimae Alexandrae.[18]

Il topos pater-filia viene sistematicamente impiegato da Fedele nei suoi scambi epistolari, e diviene funzionale nell’espressione non sconveniente di sentimenti di vicinanza e affetto; nell’epistola XCVI ad Ambroz Mihetić la donna scrive:

Idcirco te obsecro, ut me paterno amore prosequaris. Ego enim te non secus ac patrem amo et observo. […] Filiam literarum studiis incitatam laudibus inflammas. Ecquid autem filiola mea? inquies. Semper quidem, sed tuae me laudes incenderunt. Quare tibi ingentes ago gratias, meque paterno amore diligas oro.[19]

Altro espediente retorico di Fedele è lo sfruttamento della condizione femminile in recusationes e inserti sparsi, in cui la donna si definisce femella, virguncula, accogliendo e assecondando la costruzione retorica degli interlocutori che desessualizzano l’umanista donna per ammetterla al consesso tipicamente maschile della riflessione erudita:

Cum hoc scribendi officium ad tantum Principem ego virguncula primo extimescens perhorruerim, deinde tua in omnes clementia bonitate mota sum, quae mei ingenii exilitatem ad scribendum suadet; tum etiam cum ab initio meorum laborum, cultu femineo relicto, ad ea, quae non tantum ad huius brevissimae vitae honorem pertinent sed Divinae Maiestatis praesentia, fruendam me ipsam contuli, immortalem laudem consecuturam inter homines mecum reputavi.[20]

Dal brano risulta evidente come Fedele sfrutti l’immaginario stereotipico femminile nel costruire il colloquio epistolare: l’iniziale captatio viene intensificata dal diminutivo virguncula, che si lega immediatamente alla exilitas ingenii successiva; l’ammissione di debolezza muliebre permette di neutralizzare il potenziale eversivo delle dichiarazioni successive, in cui la donna proclama fieramente di aver abbandonato le occupazioni consone al proprio sesso per dedicarsi al culto delle lettere.

Bibliografia

Cento giuochi liberali et d’ingegno, In Vinegia, Giovan Maria Bonelli, 1553.

Lettere di molte valorose donne, ed. Ortensio Lando, in Vinegia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1548.

Giovanni Domenico Armano, Monumenta selecta conventus Sancti Dominici Venetiarum, Venetiis, Ex Typog. Stephani Tramontini, 1729.

Giuseppe Betussi, Libro di M. Gio. Boccaccio delle Donne Illustri, Venezia, Comin da Trino, 1545.

Tomislav Bogdan, Cassandra Fedele and her Dalmatian Correspondents, in «Živa Antika», 68 (2018) 1-2, pp. 99-123.

Cassandra Fedele, Oratio pro Bertucio Lamberto, Venetiis, Johannes Lucilius Santritter et Hieronymus de Sanctis, 1488.

Ead., Oratio pro Bertucio Lamberto, Nuremberg, Peter Wagner, 1489.

Ead., Oratio pro Bertucio Lamberto, Mutinae, Dominicus Rocociolus, 1494.

Ead., Clarissimae Feminae Cassandrae Fidelis Venetae Epistolae et Orationes Posthumae, Nunquam antehac editae, e mss. recensuit Giacomo Filippo Tomasini, apud Franciscum Bolzettam, Patavii, 1636.

Maria Petrettini, Vita di Cassandra Fedele, Venezia, Stamperia Pinelli, 1814.

Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in xiii Libri, in Venetia, Iacomo Sansovino, 1581.

Id., Delle Cose Notabili della Città di Venetia, Libri ii, in Venetia, Felice Valgrisio, 1587.

Henry Simonsfeld, Zur Geschichte der Cassandra Fedele, in Michael Bernays, Studien zur Litteraturgeschichte, Hamburg-Leipzig, Leopold Voss, 1893, pp. 99-108.

[1] Cassandra Fedele, Clarissimae Feminae Cassandrae Fidelis Venetae Epistolae et Orationes Posthumae, Nunquam antehac editae, e mss. recensuit Giacomo Filippo Tomasini, apud Franciscum Bolzettam, Patavii, 1636.

[2] Tomislav Bogdan, Cassandra Fedele and her Dalmatian Correspondents, in «Živa Antika», 68 (2018) 1-2, pp. 99-123.

[3] Maria Petrettini, Vita di Cassandra Fedele, Venezia, Stamperia Pinelli, 1814, pp. 34-36.

[4] Giovanni Domenico Armano, Monumenta selecta conventus Sancti Dominici Venetiarum, Venetiis, Ex Typog. Stephani Tramontini, 1729.

[5] Ivi, p. 177. [Nell’Obituario del Convento si hanno queste informazioni: il 26 marzo 1558 nella sezione anteriore del chiostro fu sepolta Cassandra Fedele, accanto alla sepoltura Alberghetti. Fu donna illustrissima nel suo tempo, per le lettere greche e latine come per le opere edite. Le sue Epistole e Orazioni latine furono diffuse a stampa a Padova presso Francesco Bolzetta nel 1636, con la cura di Filippo Tomasini. Celebrano le sue lodi Poliziano, Ermolao Barbaro e Sabellico. Sansovino sbaglia annotando la stessa in una tomba nella chiesa]. Questa e le successive traduzioni sono mie.

[6] Cassandra Fedele, Epistolae et Orationes, cit., p. 44.

[7] Giuseppe Betussi, Libro di M. Gio. Boccaccio delle Donne Illustri, Venezia, Comin da Trino, 1545.

[8] Ivi, p. 173.

[9] Ivi, c. 192r.

[10] Francesco Sansovino, Venetia citta nobilissima et singolare descritta in xiii Libri, in Venetia, Iacomo Sansovino, 1581, p. 392.

[11] Id., Delle Cose Notabili della Città di Venetia, Libri ii, in Venetia, Felice Valgrisio, 1587, p. 190.

[12] Gli studi hanno dimostrato che la raccolta non è assolutamente autentica, ma composta dallo stesso Lando, fermo restando l’intento elogiativo.

[13] Lettere di molte valorose donne, ed. Ortensio Lando, in Vinegia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1548, c. 91r.

[14] Cento giuochi liberali et d'ingegno, In Vinegia, Giovan Maria Bonelli, 1553, p. 103.

[15] Henry Simonsfeld, Zur Geschichte der Cassandra Fedele, in Michael Bernays, Studien zur Litteraturgeschichte, Hamburg-Leipzig, Leopold Voss, 1893, pp. 99-108.

[16] Cassandra Fedele, Oratio pro Bertucio Lamberto, Venetiis, Johannes Lucilius Santritter et Hieronymus de Sanctis, 1488 (ISTC if00163000); Nuremberg, Peter Wagner, 1489 (ISTC if00164000); Mutinae, Dominicus Rocociolus, 1494 (ISTC if00165000).

[17] Ead., Epistolae et Orationes, cit., p. 156, epist. CI. [Tu, Cassandra, che maneggi il libro invece che la lana, il calamo invece che la porpora, lo stilo invece che l’ago, e che cospargi non la tua pelle di cipria, ma la carta d’inchiostro].

[18] Ivi, p. 159, epist. CII. [Mi resta solo da pregarti, con le stesse suppliche a cui sono solita, perché raccomandi me e tutti i miei cari ai dottissimi uomini Marsilio Ficino nostro e Bartolomeo Scala, come ad un padre; e similmente all’eccellentissima Alessandra, sorella mia].

[19] Ivi, p. 142, epist. XCVI. [Pertanto ti scongiuro di accompagnarmi con amore paterno, poiché io ti voglio bene e ti rispetto non diversamente da un padre. […] Con le tue lodi infiammi una figlia dedita agli studi delle lettere. E a che altro, figliola mia? dici. Certamente, lo fui sempre, ma mi incendiarono le tue lodi. Per cui ti sono estremamente grata, e prego che tu mi ami di paterno amore].

[20] Ivi, p. 1, epist. I. [Benché fossi impaurita, io, ragazzina, temendo dapprima l’impegno di scrivere ad un tale Principe, sono stata poi commossa dalla tua clemenza e bontà verso chiunque, qualità che esorta la debolezza del mio intelletto a scrivere; anch’io allora, quando, all’inizio dei miei studi e dopo aver abbandonato le occupazioni femminili, mi rivolsi a dover godere di quelle attività che non pertengono tanto agli onori di questa brevissima vita ma alla presenza della divina maestà, ritenni di poter raggiungere le lodi immortali fra gli uomini].

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Irene di Spilimbergo (1538-1559)