Irene di Spilimbergo (1538-1559)
Spilimbergo antico e nobile Castello, o più tosto piccola Città, posta nella patria del Frioli, ha sempre avuto […] tra i suoi Signori particolari alcuno illustre per professione d’arme e di lettere.
Così inizia il testo della Vita della Signora Irene, la biografia letteraria di Irene di Spilimbergo, posta in apertura alla raccolta di Rime in morte[1] pubblicata a Venezia nel 1561, curata da Dionigi Atanagi (c. 1504 - 1573) e fortemente voluta da Giorgio Gradenigo (1522 - 1600), legato alla madre della giovane donna. Da qui è possibile partire per delineare il profilo di Irene, figlia di Adriano di Spilimbergo e Giulia Da Ponte, nata nel 1538[2] e morta, davvero giovane, nel 1559. La principale fonte a nostra disposizione, oltre al profilo scritto - forse - dall’Atanagi[3], sono i Memoriali del nonno materno, Gian Paolo da Ponte. Non restano invece tracce della produzione letteraria e pittorica della stessa Irene, che viene citata da alcuni contemporanei e da fonti successive[4].
Il padre Adriano dei conti di Spilimbergo, oltre che signore del luogo, è anche un uomo di humanae litterae, colto ed esperto di molte discipline, conoscitore della lingua latina e greca, e persino dell’ebraico. La madre Giulia da Ponte, in rapporto con l’ambiente artistico veneziano[5], viene descritta sottolineandone l’intelligenza, l’ingegno e la forza di carattere. In questo quadro si inserisce perfettamente la figura di Irene, che fu cresciuta prima a Spilimbergo e poi a Venezia, «mostrando sempre di tempo in tempo assai più ingegno e prudenza di quello che portavano gli anni suoi». Irene non era figlia unica, aveva una sorella maggiore, Emilia, nata il 23 settembre del 1536 e sposata nel ’61 a un nobile padovano, Giulio degli Agugi, e una minore, Isabella, nata nel 1541 e morta prematuramente all’età di tre anni[6].
Educazione e talento artistico
Nella biografia la descrizione fisica è secondaria e lasciata alla parte conclusiva, mentre chi scrive si focalizza maggiormente sulla creazione di un vero e proprio personaggio esemplare di cui si vuole sottolineare l’eccezionalità. L’educazione di Irene, di vivace ingegno, viene rivolta non solo ai lavori ai quali sono solite dedicarsi le “gentildonne” del suo tempo, ma anche e soprattutto alla lettura e scrittura. Ecco un piccolo estratto:
Fu per la vivacità del suo ingegno posta molto prima delle altre fanciulle a quei lavori d’ago et di ricami che sogliono usarsi tra le Gentildonne e Signore per loro ornamenti et per fuggir l’otio nimico principale del sesso loro. Nel qual tempo, parendo a lei picciolo acquisto l’arte del ricamare, et cosa da non tenervi occupati tutti i suoi pensieri, si diede da sé a leggere et a scrivere; et havendo in processo di poco tempo fatto in ciò gran profitto, passò senza ricordo o indirizzo d’alcuno a gli studi di molti libri volgari, avanzandosi ogni dì più nella intelligenza de loro concetti.
Irene ed Emilia condividono la stessa educazione, che non trascura lo studio delle humanae litterae. Attingendo alla vasta biblioteca di famiglia, le due sorelle leggono, tra le altre, le opere di Plutarco, Piccolomini, Castiglione, Bembo, Petrarca. Della loro educazione si occupò anche il nonno materno, Gian Paolo Da Ponte, «gentilhuomo d’honorate qualità», che le avviò alla musica, nella quale Irene si mostra ancora una volta in grado di apprendere in breve tempo le cose più difficili e di superare in abilità tutte le sue coetanee.
È proprio durante la frequentazione dell’ambiente veneziano che sembra abbia sviluppato un interesse per l’arte pittorica, entrando in contatto con Tiziano Vecellio. Lo straordinario talento per la pittura è l’ultima grande passione della giovane, che si avvicina a questa arte “mossa da generosa emulazione” verso la contemporanea pittrice cremonese Sofonisba Anguissola (c. 1532-1625). In che rapporti fu veramente con Tiziano, in realtà, non è chiaro, poiché la Vita non fa riferimento a una vera e propria relazione tra allieva e maestro, ma alcune fonti successive sì. Sicuramente il Vecellio conosceva la famiglia, poiché ritrasse sia il nonno Gian Paolo che la madre Giulia[7]; esistono inoltre due dipinti pendant di Irene ed Emilia, che furono inizialmente attribuiti proprio a Tiziano[8]. Insomma, Irene iniziò a dedicarsi al disegno e alla pittura giorno e notte, con un ardore che non piaceva certamente a tutti e che, sempre secondo la Vita, era visto come cattivo presagio. Sembra, infatti, che spostandosi dalla sua camera alla stanza in cui dipingeva, esposta al freddo e al vento dalla finestra sempre aperta, sottoponendosi a un «eccessivo sforzo di natura»[9], Irene si sia ben presto ammalata e nel giro di ventidue giorni sia morta.
Ripercorrendo la biografia di Irene di Spilimbergo, assecondando le informazioni riportate nella Vita e confrontandole con i Memoriali del nonno per verificarne, almeno in parte, l’attendibilità, non possiamo fare a meno di notare come l’intento celebrativo sia portato alla massima espressione. Nel solco della Vita si collocano poi tutte le poesie dedicate a Irene e alla sua celebrazione, che fanno seguito nella raccolta e che sono divise in due parti: componimenti in volgare (più numerosi) e componimenti in latino. Tra i nomi presenti: Bernardo Tasso, Ludovico Dolce, Ludovico Domenichi, Torquato Tasso, Celio Magno, Laura Battiferri, Laura Terracina, Ippolita Gonzaga.
L’immagine di Irene così delineata e celebrata inizia ben presto a staccarsi dal contesto storico e a inserirsi in quello più propriamente mitico, poiché il suo ricordo la trasformerà sempre più in un ideale di femminilità fuori dal comune, ora esaltato ora denigrato dai posteri. Sottolineo che l’esempio offerto da questa giovane donna si presta bene al confronto con i moduli comportamentali rinascimentali: l’insieme delle caratteristiche, delle virtù, delle sue doti fanno parte di un canone noto, dal quale si distacca in alcuni aspetti, come l’assenza di un ruolo familiare, di sposa o madre, l’assenza di una figura maschile predominante o del rapporto con Dio, lo “spirito competitivo”.
L’evoluzione del mito dal Cinquecento all’Ottocento
Ripercorriamo, dunque, l’evoluzione del mito: siamo ancora nel Cinquecento quando Giorgio Vasari la definì “vergine bellissima, letterata, musica et incasinata al disegno”; nei due secoli successivi il ricordo di Irene sembra invece scomparire fuori dai confini del territorio friulano, per ricomparire poi nell’Ottocento in vari testi letterari e alcune opere pittoriche. Una testimonianza pittorica interessante è l’opera di Silvestro Lega, uno dei maggiori esponenti del movimento dei Macchiaioli, intitolata Tiziano e Irene di Spilimbergo e datata 1859.
Dal punto di vista della produzione prettamente letteraria, invece, il recupero dell’immagine di Irene nel XIX secolo si articola in vari modi: incredibile a dirsi, il suo nome compare in alcuni opuscoli per nozze, che riprendono l’esempio femminile in modo da fornire un modello da emulare o un punto di riferimento comportamentale alle future spose[10]; inoltre si hanno esempi di celebrazioni letterarie e poetiche dedicate alla giovane pittrice friulana, per lo più con lo scopo indiretto di glorificare il territorio di provenienza[11]. Ciò che colpisce della ripresa letteraria e dell’idealizzazione romantica di Irene è l’accento sulla sua dedizione totale, sulla scarsa moderazione nel dedicarsi agli studi, che la porteranno a perdere di vista i propri limiti e, di conseguenza, la propria salute. Dietro a questa esaltazione impossibile non cogliere un monito, che invita le donne a rinunciare a imprese simili.
Dagli inizi del Novecento, l’immagine di Irene diviene studio critico e si cerca di ricostruirne realisticamente e storicamente la personalità. Personalità che si è prestata così bene a varie “esigenze” di interpretazione e rielaborazione mitiche, ma che in realtà possiamo provare a inserire non nel paragrafo “donne del Rinascimento”, che ancora troppo spesso compare come approfondimento a parte nei manuali, ma nel paragrafo dedicato ad artisti e artiste del periodo e del territorio di appartenenza, sforzandoci di combattere i nostri bias cognitivi e di pensare in termini più globali e meno divisivi.
Principale bibliografia di riferimento
Dionigi Atanagi, Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo, alle quali sono aggiunti versi latini di diversi egregi poeti in morte della medesima Signora, Venezia, Domenico e Giovanni Battista Guerra, 1561.
Michela Catto, ‘Creazione e trasformazione di un modello tardo-rinascimentale: Irene da Spilimbergo tra fonti letterarie e documentarie,’ in The Italianist, 19, 1999, pp. 50-76.
Benedetto Croce, ‘Irene di Spilimbergo,’ in Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, I, pp. 365-75, pp. 369-70.
Pietro Scarpa, I “Memoriali” di Zuan Paulo da Ponte, in “Gentilhomeni, artieri e mercatanti”. Cultura materiale e vita quotidiana nel Friuli occidentale al tempo dell’Amalteo (1505-1588), Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, pp. 170-171.
Anne Jacobson Schutte, ‘Irene di Spilimbergo. The image of a Creative Woman in Late Renaissance Italy,’ Renaissance Quarterly, 44, 1991, pp. 42-61.
Luigi Suttina, ‘Appunti per servire alla biografia di Irene,’ in Atti dell’Accademia di Udine, Udine, s. IV, 3, 1914.
Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori, annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, Sansoni, Firenze, 1878.
Italo Zannier (a cura di), Irene di Spilimbergo: 1538-1559, con 14 fotografie di Gianni Borghesan, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1991.
Ruggero Zotti, Irene da Spilimbergo, Udine, Tipografia Del Bianco, 1914.
[1] Il titolo esteso è Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo, alle quali sono aggiunti versi latini di diversi egregi poeti in morte della medesima Signora. La raccolta fu stampata presso la tipografia dei fratelli Domenico e Giovanni Battista Guerra.
[2] E non nel 1541, come riporta erroneamente la Vita.
[3] Il testo della Vita è verosimilmente scritto da Dionigi Atanagi, ma non è firmato dallo stesso e intorno alla sua attribuzione ci sono pareri contrastanti. Lo storico Gian Giuseppe Liruti avanzerà l’ipotesi che l’autore sia in realtà Giorgio Gradenigo (Gian Giuseppe Liruti, Delle donne di Friuli illustri per lettere, Per nozze Brandis-Salvagnini, Udine, Tipografia di Giuseppe Seitz, 1865, p. 11).
[4] Tra le testimonianze che menzionano le opere di Irene, ci sono innanzitutto i riferimenti presenti all’interno dei componimenti a lei dedicati. Inoltre: G. Valentinelli, Bibliografia del Friuli; Biblioteca dell’eloquenza italiana di Monsignore Giulio Fontanini, con le annotazioni del Signor Apostolo Zeno, Parma, presso Luigi Mussi, ultima ristampa 1803-04, Tomo secondo, Classe V: I lirici; G. G. Liruti, Delle donne del Friuli illustri per lettere. Riguardo alla produzione pittorica, essa viene espressamente menzionata già nella Vita, ma a fornire qualche informazione in più sono fonti storiografiche citate da R. Zotti, Irene di spilimbergo, Udine, Tipografia Del Bianco, 1914.
[5] Di Giulia Da Ponte si conservano le lettere che scambiava con amici e parenti, delle quali alcune sono riportate nella raccolta di Lettere di diversi eccellentissimi huomini curata da Ludovico Dolce e stampata a Venezia nel 1559.
[6] Per le informazioni riportate nei Memoriali del nonno: Pietro Scarpa, I “Memoriali” di Zuan Paulo da Ponte, in “Gentilhomeni, artieri e mercatanti”. Cultura materiale e vita quotidiana nel Friuli occidentale al tempo dell’Amalteo (1505-1588), Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, pp. 170-171; Luigi Suttina, Appunti per servire alla biografia di Irene, in «Atti dell’Accademia di Udine», Udine, s. IV, 3, 1914; R. Zotti, Irene di Spilimbergo, cit.
[7] La fonte principale è Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, architettori, tomo VII.
[8] I ritratti sono considerati, salvo qualche isolata ipotesi, opera di Gian Paolo Pace, frequentatore della bottega di Tiziano.
[9] Nella Vita, l’autore tenta di ipotizzare le diverse ragioni della prematura e drammatica scomparsa di Irene: la volontà di Dio, l’invidia di coloro che la accusano di andare oltre i propri limiti, la mortificazione del corpo.
[10] Pietro Giordani, A Madama Adelaide Calderara Butti, in Fiori d’arte e di lettere italiane per l’anno 1839, con prefazione di Francesco Ambrosoli, Milano, Santo Bravetta, 1839.
[11] Merita di essere menzionato un testo poetico di Ippolito Nievo, intitolato proprio Irene di Spilimbergo, incluso in Canti del Friuli, pubblicati postumi nel 1912.