Camilla Scarampi (ca.1470/75-1540)

La vita

Non è raro che le notizie biografiche sulle letterate del Cinquecento si rivelino piuttosto scarne, e purtroppo non fa eccezione il caso di Camilla Scarampi. Se gli storici della letteratura settecenteschi individuano in Milano il luogo di nascita della poetessa, la critica più recente preferisce indicare Asti, considerato che la famiglia Scarampi era parte della nobilità astigiana.[1] Nella città piemontese dovrebbe dunque essere nata, attorno al quinquennio 1470-75, Camilla Scarampi.[2]

Cionondimeno, Milano resta una città fondamentale per l’autrice e la sua famiglia: il padre Scarampo diviene prima senatore della città meneghina e poi ambasciatore degli Sforza a Venezia (oltre che podestà di Genova); Camilla entra invece a far parte della corte di Beatrice d’Este, moglie di Ludovico il Moro. I legami con gli Este si estendono plausibilmente anche alla marchesa di Mantova Isabella, sulla base di quanto ci è dato supporre dall’epigramma De Camilla Scalampa Mediolanensi di Iacopo Sannazaro, del 1503, attraverso il quale il poeta napoletano, elogiando Camilla, intende con ogni probabilità omaggiare per via indiretta la marchesa, motivo che «lascia pensare che la poetessa fosse figura gradita» a Isabella.[3]

A Milano, Scarampi prende parte attivamente alla vita di corte ed è ben inserita negli «ambienti filosforzeschi», intrattenendo rapporti con i letterati e gli artisti che ruotano attorno a Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, grazie alla quale alla corte degli Sforza «comincia a trovare un proprio spazio [...] la lirica femminile».[4] Anche dopo la morte del duca e della duchessa, Scarampi ha modo di frequentare assiduamente i salotti nei quali si riunisce l’élite socio-culturale meneghina, «nella turbolenta alternanza di periodi di dominazione francese e di effimere restaurazioni» vissuta dal ducato tra gli anni Dieci e Venti del XVI secolo.[5]

«Donna ‘educata’, ma non propriamente ‘erudita’», Camilla fa coincidere la sua produzione poetica con la partecipazione a tali adunanze socio-culturali.[6] È in questi cenacoli infatti che inizia a farsi conoscere come rimatrice, prediligendo la via della poesia amorosa in volgare, una scelta non scontata nella Milano di fine Quattrocento e inizio Cinquecento, che vive «anni difficili per la poesia volgare».[7] Le sue rime sono presumibilmente già note ai frequentatori degli ambienti della corte milanese tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo,[8] e mentre la poetessa è ancora in vita la sua fama va con ogni probabilità crescendo oltre i confini del ducato: per esempio, attraverso il tramite di Enea Irpino da Parma, che fra 1508 e 1519 compone una canzone dedicata a Scarampi e a Laura Brenzoni, la lirica della nobile astigiana giunge forse fino al circolo ischitano di Costanza d’Avalos.[9]

Il nome di Camilla risuona poi in varie opere di suoi contemporanei, e la rimatrice stringe amicizia con diversi letterati del suo tempo. Oltre ai già citati Iacopo Sannazaro ed Enea Irpino da Parma, intesse rapporti con Sabba da Castiglione, Panfilo Sasso e Luca Valenziano, che difatti le dedica il suo Camilcleo (1505 circa), «celebrandone bellezza e virtù poetiche».[10] È soprattutto Matteo Bandello però a esaltare la poetessa di Asti.[11] Grazie a due dediche contenute nei libri di novelle del Bandello è possibile innanzitutto farsi un’idea dell’attività culturale svolta da Scarampi, annoverata tra le dame che durante alcuni cenacoli intrattiene i presenti con i suoi sonetti;[12] descritta come proponitrice di giochi e facezie, quando durante il banchetto in onore di Bianca d’Este tenuto in casa di Lucio Scipione Atellano «disse a tutti che non sarebbe stato fuor di proposito che quell’ora sì calda e fastidiosa si dispensasse in piacevoli ragionamenti»;[13] infine, ritratta come vera e propria salonnière che chiede ad Antonio Tilesio di allietare gli ospiti «con alcuna novella», e alla cui presenza Francesco Peto Fondano, ricorda Bandello, recita un «arguto» epigramma «fatto in lode de le maniglie de la incomparabile eroina la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia».[14] Una presenza costante, dunque, nei luoghi frequentati dall’alta società milanese di fine Quattrocento e inizio Cinquecento: da un lato poetessa e intrattenitrice, dall’altro abile padrona di casa e regista di facezie.

Naturalmente nobile è il matrimonio della poetessa, che non più tardi del 1500 sposa Ambrogio Guidobono, il quale assume negli anni il ruolo di pretore di Genova prima e di questore di Milano poi, morendo prima del 25 novembre 1517, data in cui Sabba da Castiglione manda a Camilla un’epistola consolatoria per la perdita del marito, dal quale la poetessa ha quattro figli (due femmine e due maschi). Da quel che si deduce da una missiva dell’ambasciatore estense Alberto Bendidio, Camilla Scarampi è di certo viva nel 1523 «e lo era probabilmente ancora nella seconda metà degli anni Trenta»;[15] secondo Apostolo Zeno, Camilla sarebbe difatti deceduta all’altezza del 1540 (data che comunque non può essere al momento certificata).[16]

Opere

Ricordate brevemente da diversi storiografi del Settecento (Argelati, Quadrio e Tiraboschi), le liriche di Camilla Scarampi compaiono parzialmente nella prima parte dei Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo raccolti da Luisa Bergalli nel 1726, e sono tutte disponibili nell’edizione criticamente curata nel 2015 da Maria Chiara Tarsi.[17] Sfortunatamente, i componimenti superstiti di Scarampi non sono molti, a fronte di una produzione poetica che deve essere stata ben più corposa, come testimonia per esempio una lettera scritta da Apostolo Zeno a Luigi Giusti nel 1743, nella quale il letterato veneziano sostiene di possedere tra i suoi «codici» parecchie rime della Scarampi «oltre a quelle che la Sig. Bergalli, ora Contessa Gozzi, ne ha pubblicate».[18] Inoltre, Tarsi ipotizza che pure «Bandello possedesse sue rime, probabilmente distrutte quando la casa milanese del poeta fu saccheggiata nel 1525».[19] Ad ogni modo, oggi possiamo leggere 19 componimenti: 12 sonetti, 6 madrigali e un sonetto di incerta attribuzione, conteso tra l’astigiana e Veronica Gambara.

La poesia di Scarampi – «nuova Saffo» secondo la definizione del Bandello[20] – è una poesia a tema essenzialmente amoroso, che si sviluppa nella prima fase di emulazione cinquecentesca della maniera del Petrarca. Dato che plausibilmente Scarampi compone rime tra la fine del XV e i primi vent’anni del XVI secolo, si può ben comprendere che si tratta di un petrarchismo non del tutto maturo, di una «imitazione del modello non ancora rigorosa ed esclusiva», mancando a quell’altezza l’esempio normativo di Pietro Bembo.[21]

Forse proprio per tale motivo, però, sonetti e madrigali di Scarampi affrontano talvolta temi non strettamente canonici. Pur attraverso «tessere lessicali direttamente prelevate da Petrarca»,[22] l’astigiana si concentra per esempio in tre sonetti sulla lotta contro Amore, sostenendo che il suo io lirico, contro il «colpo sì veloce e crudo» saettato dal dio, è riuscito a dimostrarsi «ardito e presto» nella difesa, concludendo:

Ma hor non temo più suo grave assalto,

ch’armata come quel che guerra aspetta

farò ’l cor di diamante e ghiaccio un smalto.[23]

Nonostante l’intenzione di essere «com’al turbato mar un saldo scoglio»[24] che contrasta l’azione d’Amore e nonostante la volontà di mantenere «casto» il suo «pensiero»,[25] l’io lirico di Scarampi sperimenta naturalmente le pene amorose: «hor veggio ben ch’è vana mia diffesa», si legge in un sonetto successivo,[26] con il «secreto duol»[27] generato dal canonico «chiaro lume»[28] dell’amato che prende il sopravvento. Diverse sono le immagini rituali della poesia erotica: il «dolce foco» che accende la donna mentre rievoca «le bellezze» della persona amata,[29] la «cruda guerra» tra «voler e non voler», tra «ardente voglia» e «viva ragione»,[30] tra amore e gelosia,[31] il «grato e gentil» saluto ricevuto dall’amato,[32] l’irriducibilità del sentimento d’amore.[33] Tra i versi si contano tuttavia scelte tematiche più variegate, seppur anch’esse nutrite di tradizione, come il madrigale in cui è descritta la gioia derivata dall’apprendere che «quel vivo sole / ch’a suo modo mi toglie e dà vigore»[34] ricambia l’affetto dell’io lirico. Oppure il sonetto politico sulla «misera Italia», spronata a risvegliare la sua «virtute vechia» contro gli assalti «de’ barbari», che al passato come nel presente minacciano i suoi confini.[35]

Mancano, trattandosi in prevalenza di liriche amorose modellate sull’esempio petrarchesco, riferimenti ai temi cari agli ambienti milanesi del tempo, aspetto che merita di essere sottolineato, testimonianza di una certa autonomia della Scarampi nella selezione di temi e stili (si ricordi però che trattandosi di una raccolta parziale, quella attualmente a disposizione, non è detto che la poetessa astigiana non abbia affrontato motivi di cui non abbiamo testimonianza).[36]

Nel «tono medio [...] minato a tratti da una certa corrività» deve forse essere individuato l’aspetto più peculiare della poesia dell’astigiana e non una sua debolezza, poiché le «movenze che ricordano il parlato» rappresentano una deviazione dalla norma del dettato poetico del Petrarca degna di essere menzionata.[37] In questo tono e nel «fondo ‘aspro’ e a tratti spigoloso» viene pertanto a generarsi la nota di colore che contraddistingue la lirica di Camilla Scarampi.

Bibliografia

-        Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Milano, Società Palatina, 1745, II/I, col. 1301.

-        Matteo Bandello, Novelle, a cura di Delmo Maestri, 4 voll., Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992.

-        Lirici del secolo quarto, quinto, sesto e settimo cioè dal 1501 al 1835, Venezia, Antonelli, 1851 (Parnaso italiano, 12), pp. 548-549.

-        Ugo Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, in Matteo Bandello novelliere europeo, Atti del Convegno internazionale di studi (Tortona, 7-9 novembre 1980), a cura di Ugo Rozzo, Tortona, Cassa di Risparmio di Tortona, 1982, pp. 419-437.

-        Maria Chiara Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, in Eadem, Studi sulla poesia femminile del Cinquecento, Bologna, I libri di Emil, 2018, p. 134. Precedentemente apparso sul «Giornale Storico della letteratura italiana», CXCII (2015), pp. 414-451, con il titolo Una poetessa nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi (e di un sonetto conteso a Veronica Gambara).

-        Maria Chiara Tarsi, ad vocem «Scarampi, Camilla», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 91 (2018), pp. 307-309.

-        Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano, Società tipografica dei classici italiani, 1824, VII/3, pp. 1740-1742.

-        Apostolo Zeno, Lettere, Venezia, Francesco Sansoni, 1785, VI, n. 1183.


[1] Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Milano, Società Palatina, 1745, II/I, col. 1301; Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano, Società tipografica dei classici italiani, 1824, VII/3, p. 1741. Maria Chiara Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, in Eadem, Studi sulla poesia femminile del Cinquecento, Bologna, I libri di Emil, 2018, p. 134. Il saggio era precedentemente comparso sul «Giornale Storico della letteratura italiana», CXCII (2015), pp. 414-451, con il titolo Una poetessa nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi (e di un sonetto conteso a Veronica Gambara). In merito al luogo di nascita di Scarampi, cfr. anche Ugo Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, in Matteo Bandello novelliere europeo, Atti del Convegno internazionale di studi (Tortona, 7-9 novembre 1980), a cura di Ugo Rozzo, Tortona, Cassa di Risparmio di Tortona, 1982, p. 423.

[2] In merito, rif. ibidem.

[3] Maria Chiara Tarsi, ad vocem «Scarampi, Camilla», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 91 (2018), p. 308.

[4] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, pp. 140 e 142. L’ampia presenza di Camilla Scarampi a corte e nei salotti della Milano aristocratica quattro-cinquecentesca è attestata anche grazie alle novelle di Bandello (cfr. per esempio Matteo Bandello, Novelle, a cura di Delmo Maestri, 4 voll., Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992, I. La prima parte de le novelle, «Dedica a Sforza Bentivoglio», novella XXI, p. 188; e III. La terza parte de le novelle, «Dedica a Vincenzo Goscia», novella xxi, p. 114).

[5] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, p. 141.

[6] Per la formazione della poetessa, cfr. Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, p. 426.

[7] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, p. 133.

[8] «Chi oramai non conosce la signora Camilla Scalampa e Guidobuona, le cui colte rime sono in tanto prezzo?» (Bandello, Novelle, a cura di Maestri, IV. La quarta parte de le novelle, «Dedica a Gioanna Sanseverina e Castigliona», novella XIX, p. 134).

[9] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, p. 145. Si cita di seguito la canzone di Enea Irpino da Parma, contenuta alla Biblioteca Palatina di Parma (ms. hh.v.31.700), cc. 37r-40r: «Appresso hoggi Apennino, oltra la Trebia, / d’amor cantando carmi alti e diversi, / la bella, casta e nobile Scarampa / sotto la pheba lampa».

[10] A proposito del Camilcleo, cfr. Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, pp. 421-422.

[11] «E Camilla Scarampa Italia onora, / sì dotta si scoperse e sì sottile» (Matteo Bandello, Canto IV, in Id. Tutte le opere, a cura di Francesco Flora, 2 voll., Milano, Mondadori, 1934-1935, II, p. 908). È proprio attraverso la mediazione di Bandello che il profilo di Camilla Scarampi è riemerso nello studio di Rozzo, che ha in qualche modo aperto le indagini più recenti sulla poetessa. Fortunatamente, grazie soprattutto agli studi più aggiornati, e in particolare grazie ai contributi di Tarsi, la figura di Scarampi è emersa in maniera più nitida e ha finalmente acquisito vita propria, separata da quella della «eroina bandelliana», come scriveva Giulio Cesare Scaligero. Pertanto, non è più consono asserire che il nome dell’astigiana sia «rimasto nella storia letteraria italiana quasi esclusivamente per opera di Matteo Bandello» (Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, p. 419).

[12] Bandello, Novelle, a cura di Maestri, i. La prima parte de le novelle, «Dedica a Ippolita Sforza e Bentivoglia», novella I, p. 3-4.

[13] Ivi, I. La prima parte de le novelle, «Dedica a Baldassarre Castiglione», novella XLIV, p. 406.

[14] Ivi, IV. La quarta parte de le novelle, «Dedica a Francesco Peto Fondano», novella XIV, p. 108.

[15] Tarsi, ad vocem «Scarampi, Camilla», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 91 (2018), p. 308.

[16] La nozione deriva dalla scheda dedicata alla Scarampi in Lirici del secolo quarto, quinto, sesto e settimo cioè dal 1501 al 1835, Venezia, Antonelli, 1851 (Parnaso italiano, 12), pp. 548-549, redatta da Francesco Zanotto, che scrive di essere entrato in possesso di un manoscritto (oggi perduto) di Apostolo Zeno nel quale viene indicato il 1540 come anno di morte dell’astigiana.

[17] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, pp. 164-176.

[18] Apostolo Zeno, Lettere, Venezia, Francesco Sansoni, 1785, VI, n. 1183, p. 206.

[19] Ivi, p. 163. Tra l’altro, Bandello stesso scrive, dedicando a Scarampi una novella con protagonista un’omonima antenata della poetessa: «e giovami credere che sarà cagione [inviare la novella] di farmi veder qualche bella vostra composizione, parendomi un’età che io non ho da voi né lettere né rime; e pur vi deverebbe talor sovvenire di me che tanto vi son servidore. Ma com’esser può che di così nobil morte e pietosa di questa vostra parente voi negli scritti vostri non abbiate fatto mai menzione alcuna?» (Bandello, Novelle, a cura di Maestri, I. La prima parte de le novelle, «Dedica a Camilla Scarampa e Guidobuona», novella XIII, p. 117).

[20] Ivi, IV. La quarta parte de le novelle, «Dedica a Francesco Peto Fondano», novella XIV, p. 108. Pur trattandosi di una lode stereotipata, tanto che, sempre nelle novelle bandelliane, è ricordata come moderna Saffo anche Cecilia Gallerani, si rammenti però che Bandello «nel corso della sua opera letteraria cita (e onora) la Scarampi ben 12 volte», superata solo da Ippolita Sforza e Isabella d’Este, «che però devono essere annoverate tra le protettrici del Bandello, più che tra le sue conoscenze o amicizie» (Rozzo, Un personaggio bandelliano: Camilla Scarampi, p. 420).

[21] Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, p. 148.

[22] Ivi, p. 150.

[23] Camilla Scarampi, Rime I (sonetto), ivi, pp. 164-165.

[24] Camilla Scarampi, Rime II (sonetto), ivi, p. 165.

[25] Camilla Scarampi, Rime III (sonetto), ivi, p. 166.

[26] Camilla Scarampi, Rime V (sonetto), ivi, p. 167.

[27] Camilla Scarampi, Rime IV (sonetto), ivi, pp. 166-167.

[28] Camilla Scarampi, Rime VII (sonetto), ivi, p. 168.

[29] Camilla Scarampi, Rime X (madrigale), ivi, p. 170.

[30] Camilla Scarampi, Rime XI (madrigale), ivi, p. 170.

[31] Camilla Scarampi, Rime XIII (sonetto), ivi, p. 171. È questo il sonetto la cui prima quartina Bandello cita nelle sue Novelle: «Non si può adunque amare senza temere, come nel suo sonetto disse la dotta e nobile signora Camilla Scarampa» (Bandello, Novelle, a cura di Maestri, III. La terza parte de le novelle, «Dedica a Aloise da Porto», novella XXIII, p. 121).

[32] Camilla Scarampi, Rime XVI (sonetto), in Tarsi, Nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi, p. 173.

[33] Camilla Scarampi, Rime XVII (madrigale), ivi, pp. 173-174.

[34] Camilla Scarampi, Rime IX (madrigale), ivi, p. 169.

[35] Camilla Scarampi, Rime XVIII (sonetto), ivi, p. 174.

[36] «Se l’assenza di “combinazioni inquiete e sperimentali tra poesia umanistica e verso volgare”, tipiche invece dell’area lombarda, andrà spiegata probabilmente con l’educazione della Scarampi, che non dovette avere un impianto rigorosamente umanistico, la scarsa propensione a “bizzarrie e avventure” e l’adesione al modello petrarchesco sembrano piuttosto frutto di una scelta precisa, non scontata nell’ambiente milanese a questa altezza cronologica» (ivi, pp. 148-149).

[37] Ibidem.

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Irene di Spilimbergo (1538-1559)

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Lucrezia Marinella (1571-1653)