Veronica Gambara (1485-1550)
Veronica Gambara trascorse la sua vita tra l’esercizio del potere politico della contea di Correggio e l’esercizio letterario, che la vide comporre 67 liriche e instaurare corrispondenze con studiosi e letterati a lei contemporanei, tra cui Pietro Bembo.
Gambara nacque vicino a Brescia nel 1485, nella famiglia dei conti di Carpi. Benché non si abbiano precise notizie del curriculum scolastico che le fu permesso intraprendere, è verosimile ipotizzare lo studio del latino e dei testi religiosi, quest’ultimo un interesse che diventerà centrale per gli anni di maturità della poetessa. Franco Pignatti afferma la precocità dell’esercizio poetico della Gambara, citando componimenti come le Frottole[1]. Nel 1508, Gambara è unita in matrimonio al conte Giberto da Correggio, col quale ha due figli: Ippolito, battezzato a gennaio 1510, e Girolamo, battezzato a febbraio 1511. Il matrimonio durò solo un decennio, fino alla morte di Giberto nel 1518. Da vedova e madre di un erede di minore età, Gambara si occupò del mantenimento amministrativo e politico del feudo.
Gambara mirò a rendere Correggio più indipendente e meno legato alle alleanze e ai bisogni dei feudi vicini, per la maggior parte filofrancesi, intraprendendo un avvicinamento alla politica e agli interessi imperiali. Il feudo di Correggio ricevette pertanto una nuova investitura da Carlo V nel 1520, mentre nel 1529 Gambara fu presente all’incontro tra il papa e l’imperatore. La vicinanza all’impero caratterizzò Correggio per il resto del XVI secolo. A Bologna, Gambara ricevette di persona alcuni dei letterati con cui aveva scambiato corrispondenze, tra cui Gian Giorgio Trissino. Quando, nel 1538, Correggio fu invasa da Galeotto Pico, Gambara difese il feudo riuscendo a respingere l’invasore, e successivamente si occupò della pestilenza che si era diffusa nel feudo. Una volta che il figlio Ippolito fu pronto ad ereditare il comando del feudo, ed avendo avviato Girolamo alla carriera ecclesiastica, Gambara si ritirò a vita privata. Morì il 13 giugno 1550 e fu seppellita accanto al marito nella chiesa di S. Domenico.
Opere
Gambara e la sua poesia furono spesso lodate in corrispondenza da personaggi ora più noti, come Pietro Bembo, che la paragonò alla contemporanea Vittoria Colonna negli anni della maturità poetica. Molly M. Martin evidenzia che Gambara fu ammiratrice lei stessa della poesia di Colonna, e fu la prima donna a commissionarne un’edizione critica delle poesie spirituali nel 1541[2]. Tra le menzioni di Gambara giunteci, spicca quella presente nell’Orlando Furioso, della cui edizione del 1532 Gambara ricevette da Ariosto una copia in pergamena:
Oh di che belle e saggie donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch’amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c’han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio
veggo del molo in su l’estremo corno:
Veronica da Gambera è con loro,
sì grata a Febo e al santo aonio coro.
(LXVI, 3)[3]
Delle epistole che Gambara si scambiò con i suoi contemporanei non ci è giunto molto, e lei stessa non si curò di disporre la corrispondenza in una raccolta. Scambiò lettere con importanti figure politiche del suo tempo, nonché con letterati come Bembo e Colonna. Ci restano due lettere scambiate con Trissino nel 1505 e 1506, undici lettere tra Gambara e Pietro Aretino, e una lettera a Lodovico Dolce del 1537. Le lettere del ventennio precedente alla morte di Gambara sono incentrate su temi religiosi.
Come con le lettere, Gambara non curò la sua opera poetica a scopo di riunire le liriche in una raccolta o canzoniere. La poesia di Veronica Gambara attraversò periodi diversi, caratterizzati da variazioni tematiche e metriche. La prima fase della sua produzione poetica si può identificare dall’inizio del XVI secolo alla morte del marito nel 1518. In questi anni, le liriche di Gambara assumono forme e contenuti della lirica d’amore petrarchistica. Un tema ricorrente sono gli occhi dell’amato come fonte di amore e virtù (e.g. in “Dal veder voi, occhi lucenti e chiari”, “Occhi lucenti e belli”, “Vero albergo d’amore, occhi lucenti”, e “Se più stanno a parir quei duo bei lumi”). Tra le liriche del periodo appaiono anche alcune sperimentazioni metriche, come le frottole e un loro sottotipo, la barzelletta, forme di canzoni antesignane al madrigale. In quest’ultima forma, Gambara compose il madrigale “Or passata è la speranza”. Circa dieci anni dopo la morte del marito, Gambara ritorna a produrre e far circolare i suoi versi, che assumono in questo periodo carattere politico (e.g. in “Mira ’l gran Carlo con pietoso affetto”, “Là dove più con le sue lucid’ onde”, “Quel che di tutto il bel ricco oriente”, e “Quella felice stella e ’n ciel fatale”). Verso la fine della sua vita, la poesia di Gambara acquista sempre più i tratti della lirica sacra, che richiama gli elementi più religiosi pure presenti nella sua precedente lirica petrarchistica e percepisce elementi dottrinali della futura Controriforma (e.g. in “Oggi per mezzo tuo, Vergine pura” e “Scelse da tutta la futura gente”).
Bibliografia
Elisabetta Selmi, “Per l’epistolario di Veronica Gambara,” Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell’Italia settentrionale. Atti del convegno, Brescia-Correggio, 17-19 Ottobre 1985 (Firenze: Olschki, 1989).
Italian Women Writers. A Bio-bibliographical Sourcebook, a cura di Rinaldina Russell (Westport: Greenwood Press, 1994).
Veronica Gambara, Le Rime, a cura di Alan Bullock (Firenze: Leo S. Olschki, 1995).
Franco Pignatti, “Gambara, Veronica”. Dizionario Biografico degli Italiani , Vol. 52 (1999).
Molly M. Martin, “Veronica Gambara”. Oxford Bibliographies, 2016. DOI: 10.1093/OBO/9780195399301-0311
[1] Franco Pignatti, “GAMBARA, Veronica”. Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999).
[2] Molly M. Martin, “Veronica Gambara”. Oxford Bibliographies, 2016.
[3] Ludovico Ariosto, Orlando Furioso. A cura di Cristina Zampese. Rizzoli: Milano, 2016.