Giulia Bigolina (ca.1518-1569)

Giulia Depoli

Non molte notizie ci sono pervenute riguardo a Giulia Bigolina. I documenti d’archivio attenenti al suo matrimonio e quello dei suoi genitori, Gerolamo Bigolin e Alvisa Soncin, permettono di collocare la sua nascita fra il 1516 e il 1520. La sua era una famiglia nobile originaria dell’area trevigiana, stanziatasi da generazioni a Padova, nella contrada dei Colombini, e legata agli ambienti dello studium universitario. Giulia aveva un fratello minore, Socrate. Ricevette un’educazione di buon livello e si inserì negli ambienti intellettuali della sua città, soprattutto con l’Accademia degli Infiammati. Intrattenne rapporti personali con personalità della levatura di Sperone Speroni e Pietro Aretino.

Le sue doti autoriali furono riconosciute già dai suoi contemporanei. Nel suo poemetto in occasione di un matrimonio del 1548, Giovanni Maria Masenetti le dedicò questi versi:

[…] l’accorta Bigolina,

Carca di gratia, e di beltà sincera,

Dottata d’eloquenza alta, e diuina.

Costei con lingua è si pronta guerrera

Ch’ogni forza, e ualor abbassa, e inchina

Facendo lieto (ogn’hor) con modo honesto

Il cor delle compagne; afflitto, e mesto.[1]

Nel 1560, lo storico Bernardino Scardeone ne elogiò la versificazione e la prosa, che si distinguevano per l’uso elegante della lingua volgare:

Iuliam Bigolinam facundia singularis, lepor, gratiaque sermonis, et eximia Etruscae linguae peritia uehementer extollit: cui quantum per ocium ab opere Palladio uacare contigit, magnopere annititur ad perpetuam nominis immortalitatem sibi parandam: quando quidem poeticam facultatem, non aliam in uiris quam in foeminis esse suo ingenio manifeste demonstrat. Scribit enim et rhytmica et soluta oratione, idiomate uernaculo elegantissime, ut in eo genere dictionis, nemini ueterum aut recentium scriptorum inuidere merito possit.[2]

Una Cronica delle famiglie di Padova manoscritta, inoltre, documentò anche la sua conoscenza del latino[3].

All’altezza del 1534 era divenuta moglie di Bartolomeo Vicomercato, giurista di Crema che già dall’anno precedente frequentava come studente l’Università di Padova. Da questo matrimonio nacquero i suoi tre figli: Silvio, il maggiore, erede del patrimonio di famiglia, e Ottavio e Gabriella, destinati alla vita di convento. Già nel 1554, tuttavia, Giulia risulta vedova e non si sposò nuovamente. Restò proprietaria terriera di un vasto appezzamento fuori Padova. Morì nel 1569.

Opere

Le testimonianze su Giulia Bigolina ci riferiscono che scrisse anche poesie, ma nulla ci rimane di questa produzione in versi. L’autrice è però nota soprattutto per le sue opere novellistiche, un genere dalle implicazioni morali molto rischiose per una donna della sua epoca. Di questo si preoccupa Scardeone, fonte principale per il profilo di Giulia Bigolina, che sottolinea a più riprese come nei suoi racconti, seppur scritti «alla maniera di Boccaccio», fosse sempre garantita la morigeratezza e la decenza.

Un manoscritto presente alla Biblioteca Civica di Padova ci tramanda la sua novella Giulia Camposanpiero e di Tesibaldo Vitaliani, pubblicata per la prima volta da Anton Maria Borromeo nel 1794. Il racconto doveva far parte di una raccolta strutturata sul modello del Decameron: una compagnia di dame e gentiluomini si trovano nel locus amoenus di Mirabello, nei pressi di Padova, per narrarsi delle storie. I protagonisti, Giulia e Tesibaldo, sono due giovani sposi padovani; Tesibaldo viene inviato come ambasciatore a Vienna, dove per un inganno si crede che sia diventato amante di Odolania, figlia dell’imperatore invaghita di lui. Sarà Giulia a dare un contributo decisivo alla vicenda, recandosi a Vienna in panni maschili per salvare l’amato. La novella si conclude con un enigma in versi, meccanismo ripetuto forse in tutta la raccolta.

L’unica altra opera sopravvissuta è Urania, un romanzo in prosa. In esso l’omonima protagonista, una giovane salernitana, viene abbandonata dal suo amato Fabio per un’altra donna che le è inferiore per virtù e intelligenza. Urania intraprende allora un lungo viaggio attraverso l’Italia travestita da uomo, sperando di guarire dal suo amore o trovare la morte. La storia si snoda tra diversi personaggi ed episodi, come l’incontro con un gruppo di donne a cui la protagonista offre una precettistica d’amore, il dialogo con degli uomini in favore della pari educazione femminile, l’innamoramento della compagna di viaggio Emilia, che crede che Urania sia un uomo, e la vicenda dell’infelice amore della Duchessa di Calabria. Nel finale, Urania riuscirà a riunirsi a Fabio e a sposarlo.


Bibliografia:

Valeria Finucci, Bigolina, Giulia, in Italian Women Writers (University of Chicago Library).

Giulia Bigolina, Urania. A Romance, a cura di Valeria Finucci, Chicago & London, The University of Chicago Press, 2005.

Christopher Nissen - Rossella Consiglio, Giulia Bigolina la prima romanziera italiana. Una donna dell’Alta Padovana tra i letterati del ’500, in «Alta Padovana. Storia, cultura, società», 4 (2005) pp. 50-64.

Giovanni Maria Masenetti, Il divin’oraculo. In lode delli novi sposi del 1548. E di tutte le belle Gentildonne Padovane, Venezia, 1548.

Bernardino Scardeone, De antiquitate urbis Patavii et claris civibus patavinis, Basel, Nicolaum Episcopium, 1560.

[1] G. M. Masenetti, Il divin’oraculo. In lode delli novi sposi del 1548. E di tutte le belle Gentildonne Padovane, Venezia, 1548, c. 22v.

[2] «Giulia Bigolina si distingue fortemente per la singolare eloquenza, l’eleganza della conversazione e la straordinaria competenza nella lingua italiana: quando le capita di avere del tempo libero dalle arti di Pallade, si sforza intensamente di procurarsi fama immortale: a più riprese dimostra manifestamente con il suo ingegno che le donne sono dotate della facoltà poetica tanto quanto gli uomini. Scrive infatti in versi e in prosa, con un’elegantissima lingua volgare, tanto che in quel genere di scrittura non ha nulla da invidiare al merito di alcuno scrittore antico o moderno» (B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii et claris civibus patavinis, Basel, Nicolaum Episcopium, 1560, p. 368).

[3] Definendola «virtuosa poetessa, dotta delle lingue tosca e latina, et scrisse opere diverse» (G. Zabarella, Biblioteca Civica di Padova, BP 2055, c. 14v).

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