Il dibattito sulla donna nel Rinascimento
Nel pensiero sui ruoli di genere del medioevo e della prima età moderna, la posizione dominante era quella di Aristotele, che considerava la donna un “maschio mancato.” Secondo la sua teoria essenzialista, agli uomini venivano associate qualità come il giudizio, l’autorevolezza, il coraggio e la resistenza. La donna era invece ritenuta per natura inferiore, passiva, carente di razionalità, forza fisica, intelligenza e virtù morali. In ambito medico, in accordo con Aristotele e Galeno, gli umori femminili erano reputati più freddi e umidi di quelli maschili, e di conseguenza le donne erano giudicate esseri imperfetti e meno evoluti[1]. Le credenze aristoteliche ebbero conseguenza politiche: se il principio maschile è superiore a quello femminile, allora i maschi sono portati a comandare e le femmine sono predisposte ad obbedire. Alla donna veniva quindi assegnato un ruolo subordinato al dominio maschile[2]. Questa concezione gerarchica dei ruoli di genere si combinò con gli aspetti patriarcali della cultura cristiana, tesi a colpevolizzare la donna in quanto figlia di Eva e quindi responsabile della cacciata dal Giardino dell’Eden. Alcuni passaggi della Bibbia che proibiscono alle donne di abbellirsi, di insegnare e di avere autorità sugli uomini fornirono a teologi, preti e scrittori un arsenale contro il genere femminile[3]. Le nozioni misogine ereditate da queste tradizioni permeavano la società della penisola italiana durante il Rinascimento.
Tuttavia, soprattutto a partire dal quindicesimo secolo, concezioni più positive della femminilità iniziarono ad imporsi, rivoluzionando le norme di genere. Come scrive Virginia Cox, una delle più importanti e meno conosciute conquiste intellettuali dell’umanesimo rinascimentale è proprio l’aver formato una serie di argomenti per contrastare la misoginia, basati sia su una critica interna dei ragionamenti aristotelici, sia su una serie di prove empiriche delle capacità femminili[4]. Una caratteristica fondamentale della nuova teoria umanista del genere è il suo anti-essenzialismo: la subordinazione femminile non è spiegabile attraverso differenze biologiche tra i sessi, ma è piuttosto una questione di costume e di cultura, radicata in aspettative sociali e pratiche educative differenziate[5]. Questo pensiero pro-donna, ampiamente indagato negli studi di Cox, emerse all’interno delle corti, ovvero sistemi politici dove ad alcune figure femminili era permesso di ricoprire incarichi autorevoli ed esercitare il potere. Ne conseguì che all’interno di questi contesti, che erano anche i principali ambienti di produzione culturale dell’epoca, scrittori influenti come Pietro Bembo o Baldassare Castiglione dovettero manifestare un atteggiamento complimentoso nei confronti del genere femminile. Come notato da Cox, le corti rinascimentali abbracciarono un atteggiamento filogino e incoraggiarono l’educazione delle donne, facilitandone l’espressione creativa e intellettuale[6]. Ciò costituì un deciso miglioramento rispetto alle norme di genere vigenti nei secoli precedenti, che consideravano la modestia e il silenzio come qualità femminili.
Tra Quattrocento e Seicento, la querelle des femmes, un acceso dibattito sulla natura e lo status della donna – sulla sua inferiorità, superiorità, o uguaglianza rispetto alla controparte maschile – divampò nella cultura italiana ed europea. Le origini della disputa risalivano al Medioevo, ma nel Rinascimento si levarono sempre più voci, sia femminili che maschili, soprattutto dall’Italia e dalla Francia. Gli uomini pubblicarono sia attacchi diffamatori che testi filogini in lode delle donne, mentre la maggior parte delle opere femminili fu di carattere protofemminista. Come scrive Sandra Plastina, “attaccare le donne o difenderle in nome del merito e delle qualità diventò in quegli anni una sorta di luogo comune”[7]. In Europa, circa un migliaio di opere di questo tipo furono scritte tra quindicesimo e sedicesimo secolo[8].
Il discorso rinascimentale in difesa della donna apparve in diversi generi, dalla poesia epica alla narrativa in prosa, oltre che nei trattati politici e filosofici. Tra i primi lavori della tradizione filogina vi furono vari compendi di esempi paradigmatici di donne dell’antichità, celebrate per le virtù o i risultati in campi tipicamente considerati maschili. Nel De claris mulieribus (ca. 1374), un testo di ampia diffusione, Boccaccio raccolse numerose biografie di donne esemplari, che vennero poi copiate ed ampliate nella letteratura pro-donna dei secoli successivi, svolgendo spesso (ma non sempre) una funzione legittimante e normalizzante nei confronti di umaniste e scrittrici. Nel contesto di corti come quelle di Ferrara e Mantova, dove le nobildonne detenevano un potere considerevole, a fine Quattrocento vennero pubblicati numerosi scritti encomiastici sul sesso femminile, tra cui il De laudibus mulierum (1487) di Bartolomeo Goggio (dedicato ad Eleonora d’Aragona), Gynevera, de le clare donne (1489-1490) di Giovanni Sabadino degli Arienti (dedicato a Ginevra Sforza Bentivoglio), e De plurimus claris selectisque mulieribus (1497) di Jacopo Filippo Foresti (dedicato a Beatrice d’Aragona). Nel sedicesimo secolo, Mario Equicola e Galeazzo Flavio Capra sfidarono le norme di genere di matrice aristotelica con le opere De Mulieribus (1501) e Della eccellenza e dignità delle donne (1525). In questo periodo, il pensiero umanista a favore della donna si articolò in testi di grande successo, facilitando l’ascesa delle autrici in ambito culturale. Tra questi spicca il Libro del Cortegiano (1528) di Baldassare Castiglione, un dialogo sugli attributi del cortigiano ideale che riscosse enorme successo, raggiungendo un pubblico internazionale. Il terzo libro, interamente dedicato al dibattito sui sessi, contiene una battaglia retorica tra Gasparo Pallavicino e Giuliano de’ Medici: facendosi portavoce della tradizione misogina, il primo sostiene che il sesso femminile è intrinsecamente inferiore ed incline al vizio, utile solo per generare figli; al contrario, Giuliano risponde affermando che le donne possono avere successo in altre attività, essendo dotate delle stesse capacità degli uomini. Castiglione sembra dargli ragione, proponendo un modello positivo di dama di palazzo istruita e virtuosa. Anche la terza edizione dell’Orlando Furioso (1532) di Ludovico Ariosto si conclude con l’elogio di una figura femminile, la poetessa Vittoria Colonna, che viene esaltata come nuovo archetipo di perfezione. Due anni dopo, Pietro Bembo inserì gli scambi poetici con Colonna e Veronica Gambara nella seconda edizione delle sue Rime (1535), sancendo così l’appropriatezza dell’attività letteraria per il sesso femminile.
Anche le donne presero parola all’interno del dibattito, a partire da Christine de Pizan (1364-ca.1430). Nata Cristina da Pizzano a Venezia e trasferitasi in Francia all’età di cinque anni, Christine visse alla corte del re Carlo V insieme al padre e poi al marito, e successivamente, da vedova, si guadagnò da vivere con la scrittura. Il suo Livre de la Cité des Dames (La Città delle Dame, 1405) offre una visione alternativa del passato in cui il contributo delle donne come figure storiche è pienamente riconosciuto. Nelle parole di Patrizia Caraffi, “di fronte a una tradizione letteraria e artistica in prevalenza maschile, spesso misogina, […] l’autrice costruisce un proprio canone, basato sulla riscrittura della storia, della tradizione e del mito […] nel nome della differenza di genere”[9]. Rammaricandosi di non poter aprire alcun libro senza imbattersi in commenti sprezzanti sul suo sesso, Christine de Pizan utilizza esempi di eccellenza femminile tratti dalla storia, dalla Bibbia e dalla letteratura per dimostrare che la donna merita rispetto e opportunità più ampie. Secondo l’autrice, il genere femminile non manca d’intelligenza ed è perfetto in anima, corpo e mente. La differenza tra i sessi è dovuta alle loro diseguali opportunità educative: se solo potessero andare a scuola, le fanciulle imparerebbero tanto quanto i maschi e potrebbero assumere incarichi pubblici con successo. Il rifiuto da parte degli uomini di far educare le figlie dimostra che non vogliono che le donne sappiano più di loro. Questa riflessione sull’esclusione delle donne dal sapere forma il nodo fondamentale della scrittura di Christine de Pizan e continuò ad influenzare la querelle des femmes per secoli a venire. Emerse così una prima forma di femminismo che comprendeva la convinzione che le donne fossero pienamente umane, competenti e dotate di virtù morali ed intellettuali pari a quelle degli uomini.
In Italia, l’area veneta emerse come epicentro della battaglia tra i sessi e come fulcro della scrittura femminile. Al deflagrare della querelle des femmes nel Quattrocento, la celebre umanista veronese Isotta Nogarola (1418-1466) si confrontò con l’uomo di stato Lodovico Foscarini in un dibattito sulla responsabilità del peccato originale. Nel dialogo filosofico De Pari aut Impari Evae atque Adae Peccato, Nogarola conclude che il peccato di Eva è stato meno grave di quello di Adamo, rivendicando così la dignità di tutte le donne.
Fu, tuttavia, nella Venezia del Seicento che vennero stampati i primi testi esplicitamente protofemministi firmati da donne: il dialogo Il merito delle donne di Moderata Fonte (1555-1592) ed il trattato La nobiltà et l’eccellenza delle donne di Lucrezia Marinella (1571-1653), entrambi pubblicati nel 1600. Negli anni successivi, Arcangela Tarabotti (1604-1652) si unì alle sue concittadine con scritti incendiari come Che le donne siano della spetie degli huomini (1651) e Tirannia Paterna (1654). Come osserva Virginia Cox, Moderata Fonte, Lucrezia Marinella e Arcangela Tarabotti differiscono in modo significativo dai loro predecessori nel dibattito. Per la maggior parte dei “difensori delle donne” del Cinquecento, la discriminazione di genere era una questione puramente teorica: questi autori non si impegnarono ad analizzare e trasformare le circostanze materiali e culturali per cui, storicamente, alle donne è stata negata l’opportunità di esercitare le proprie capacità[10]. Nonostante riconoscessero l’uguaglianza tra uomini e donne su un piano astratto, questi scrittori non si schierarono a favore di un’effettiva emancipazione femminile. Nei loro testi emerge quindi una contraddizione dettata dal voler sostenere una forma di parità tra i sessi per quanto riguarda le virtù e il non voler affrontare le potenziali ripercussioni che una tale conclusione può comportare. Al contrario, Fonte, Marinella e Tarabotti valutarono anche i meccanismi sociali e politici che subordinavano il sesso femminile a quello maschile, esaminando la sudditanza prodotta dal matrimonio e dalla dipendenza economica, e denunciando l’esclusione delle donne dall’istruzione, dall’addestramento militare e dal governo[11]. Così, queste autrici crearono una base teorica e concettuale per i movimenti politici moderni. Anche se questa consapevolezza non si tradusse immediatamente in progressi tangibili, le loro idee diedero comunque origine ad una corrente di “femminismo” che ha vissuto una continua trasformazione dal sedicesimo secolo fino a oggi.
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[1] Ian Maclean, The Renaissance Notion of Woman: A Study in the Fortunes of Scholasticism and Medical Science in European Intellectual Life (Cambridge: Cambridge University Press, 1980) p. 30.
[2] Maryanne Cline Horowitz, “Aristotle and Woman,” Journal of the History of Biology, 9.2 (1976) pp. 183-213; Ian Maclean, The Renaissance Notion of Woman: A Study in the Fortunes of Scholasticism and Medical Science in European Intellectual Life (Cambridge: Cambridge University Press, 1980) p. 3, 7-10, 50; Nicholas D. Smith, “Plato and Aristotle on the Nature of Women,” Journal of the History of Philosophy, 21.4 (1983) pp. 467-478; Virginia Cox, Women’s Writing in Italy, 1400-1650 (Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2008) p. xv; Virginia Cox, A Short History of the Italian Renaissance (London, IB Tauris, 2016) pp. 175-176.
[3] Per esempio, 1 Tim 2:9–15; 1 Pt 3:7; Col 3:18; Eph 5:22–23; 1 Cor 11:3
[4] “It is not least of the intellectual achievements of Renaissance humanism to have formed a cogent set of arguments to counter this position, based both on an internal critique of the logical defects of Aristotelian arguments for women’s inferiority and a massive barrage of empirical evidence of women’s capacity for “masculine” virtues.” Virginia Cox, Women’s Writing in Italy, 1400-1650 (Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2008) p. xv.
[5] Virginia Cox, A Short History of the Italian Renaissance (London, IB Tauris, 2016) p. 168.
[6] Ibid, pp. 172-175.
[7] Sandra Plastina, “Donne e Scrittura tra Cinquecento e Seicento,” Bruniana & Campanelliana, 19.1 (2013) pp. 193-200.
[8] Gisela Bock, “Querelle des femmes: A European Gender Dispute.” In Women in European History (Hoboken: Wiley-Blackwell, 2002) p. 4.
[9] Patrizia Caraffi, “Christine de Pizan e la Città delle Dame. Lo Spazio Letterario.” In Il Medioevo Volgare. vol IV, a cura di Piero Boitani, Mario Mancini, Alberto Varvaro (Roma: Salerno Editrice, 2004) p. 573.
[10] Virginia Cox, “The Single Self: Feminist Thought and the Marriage Market in Early Modern Venice,” Renaissance Quarterly, 48.3 (1995) p. 520.
[11] Virginia Cox, “The Single Self: Feminist Thought and the Marriage Market in Early Modern Venice,” Renaissance Quarterly, 48.3 (1995) p. 576.