La nascita del pensiero femminista, parte I: Moderata Fonte e “Il merito delle donne” (1600)
La letterata veneziana Moderata Fonte portò a termine Il merito delle donne nel 1592, a poche ore dalla morte di parto. Nel 1600, l’opera venne pubblicata postuma a Venezia da Domenico Imberti. Con questo contributo pionieristico al dibattito sulla donna, Fonte divenne una delle prime scrittrici italiane ad intervenire nella querelle des femmes allo scopo di denunciare il mancato riconoscimento sociale delle capacità femminili.
Moderata Fonte affrontò la polemica in modo creativo: invece di articolare una disputa formale e metodica sul rapporto tra i sessi, Il merito delle donne prende la forma di una “domestica conversazione” fittizia e spesso spiritosa tra sette nobildonne che si riuniscono “senza aver rispetto di uomini che le notassero, o l’impedissero”[1]. Le protagoniste, che formano una comunità di “nobili e valorose donne […] di sangue e costumi conformi, gentili, virtuose e di elevato ingegno,”[2] sono amiche che si differenziano per stato ed età: Adriana (anziana vedova), Virginia (la figlia di Adriana in età da marito), Leonora (una giovane vedova), Lucrezia (una donna sposata), Cornelia (giovane moglie), Corinna (giovane nubile e dedita alle lettere, probabilmente appartenente alla Compagnia delle Dimesse o delle Orsoline) ed Elena (appena sposata). Sul modello decameroniano, Adriana viene eletta come regina ed arbitro della disputa. Successivamente si creano due fazioni, la prima incaricata di difendere le donne e celebrarne i meriti; l’altra di lodare gli uomini e di appoggiare idee misogine.
Se la prima cornice è la Serenissima, “metropoli dell’universo,”[3] la seconda cornice è uno spazio privato: il palazzo veneziano di Leonora, cinto da un meraviglioso giardino murato. Ornato da statue di donne coronate di alloro, questo locus amoenus è stato progettato e lasciato in eredità ad una delle protagoniste da una zia padovana, nubile e anticonformista, evocata nel corso del testo come emblema della libertà femminile perché rifiutò il matrimonio. La visione di Fonte crea quindi un recinto separatista per dare vita ad una società femminocentrica in miniatura, basata sull’autonomia, l’uguaglianza, la discussione educata e l’amicizia. La tenuta di Leonora viene così messa al servizio di un sovversivo programma politico, letterario e filosofico, in quanto diviene luogo di sperimentazione di idee alternative di famiglia, comunità, economia e genere.
Il dialogo era un genere letterario gettonato e prestigioso nel sedicesimo secolo. Basato sui classici (in primo luogo le opere di Platone e Cicerone), aveva una dimensione erudita; tuttavia, mettendo in scena una conversazione apparentemente disinvolta tra conoscenti su una varietà di argomenti, aveva anche un’attrattiva più ampia. Il testo di Moderata Fonte contiene vari riferimenti ai classici del genere come Gli Asolani (1505) di Bembo e Il libro del Cortegiano (1528) di Castiglione, opere in cui la figura femminile tende ad assumere una funzione retorica ancillare - come incipit, ornamento o principio regolatore della conversazione - ma mai di protagonista[4]. La virtù pubblica dell’eloquenza era considerata una prerogativa maschile, mentre alle donne spettavano caratteristiche domestiche contrarie, come la modestia ed il silenzio. Un antico nesso tra garrulità femminile e peccato sessuale prevedeva che l’eloquenza di una donna fosse indice di dissolutezza. Per questo motivo, “l’ingiunzione al silenzio e la messa in guardia dai pericoli di una loquacità eccessiva ricorrono in modo ossessivo”[5] nella precettistica cinquecentesca rivolta al pubblico femminile.
Fonte rivoluziona questa tradizione immaginando un gruppo di amiche come interlocutrici. Così, per la prima volta nella letteratura femminile italiana, una comitiva di sole donne prende parola nel dibattito sui ruoli di genere. A più riprese, le protagoniste richiamano l’attenzione dei lettori all’assenza di uomini, e alla gioia provocata da questa circostanza insolita:
“Se per caso qualche uomo ci sentisse ora a contar queste si fatte burle, quante beffe se ne farebbe egli? Non potressimo vivere.” “Se noi vogliamo poi dire il vero – disse allora Lucrezia – noi non stiamo mai bene se non sole e beata veramente quella donna che può vivere senza la compagnia de verun’uomo”[6].
All’interno di una cerchia intima, le protagoniste possono così rivelare le vessazioni sofferte per mano di padri, mariti e fratelli ed analizzarne le cause culturali, politiche e sociali. Lo scambio serrato che ne consegue dura due giornate, ed articola una critica implacabile alla misoginia. Nella prima giornata, gli uomini vengono accusati di svariati difetti, tra cui prepotenza, sregolatezza e disonestà nei confronti delle proprie madri, sorelle, figlie e compagne - come dichiara Cornelia, ogni donna è vittima della “continua persecuzione e l’odio particolare c’hanno contra di noi”[7]. Quando Elena suggerisce alle compagne di rimanere in silenzio ed aspettare che gli uomini cambino da sé, Leonora replica bruscamente: “Si è taciuto pur troppo […] e più che si tace, essi fanno peggio”[8]. La molteplicità delle voci ed il continuo slittamento tra gioco e realtà forniscono a Moderata Fonte sia una copertura protettiva sia un mezzo per trasmettere l’indicibile. La forma dialogica, infatti, racchiude la conversazione in una dimensione fittizia e ludica che maschera le convinzioni sincere dell’autrice. In questo modo, il radicalismo del pensiero protofemminista di Fonte viene diluito, permettendole di intervenire nel dominio letterario maschile con idee poco accettabili.
Durante la seconda giornata, Moderata Fonte intende provare le potenzialità intellettuali del genere femminile attraverso uno scambio di informazioni tra le amiche, che si avvalgono di conoscenze desunte dall’astrologia, la geologia, la medicina e la zoologia. È da notare che nel 1584, mentre Moderata Fonte con ogni probabilità stava già scrivendo il suo dialogo, la padovana Camilla Erculiani pubblicava le Lettere di philosophia naturale circa varie questioni scientifiche, come la composizione degli arcobaleni, l’influenza degli astri sull’indole umana e le cause del diluvio universale. Il suo volume si colloca esplicitamente all’interno del dibattito rinascimentale sul sesso femminile dal momento che l’autrice dichiara di voler onorare e risvegliare l’intelletto delle donne[9]. Una simile promozione del talento femminile nelle discipline scientifiche è riscontrabile ne Il merito delle donne: infatti, le sette locutrici dominano verbalmente il mondo che abitano, dando prova di conoscere discipline solitamente precluse alle donne. La dotta discussione di piante ed animali non solo dimostra la loro competenza retorica e la loro padronanza del sapere ma ribadisce anche la necessità di garantire un’educazione alle donne. Come afferma Lucrezia durante una conversazione sulla medicina, “è bene che noi ne impariamo […] acciò non abbiamo bisogno dell’aiuto loro; e saria ben fatto che vi fussero anco delle donne addottrinate in questa materia”[10].
Il dialogo di Moderata Fonte si richiama a secoli di trattati scritti da uomini che si interrogano sul valore dell’istituzione matrimoniale, frequentemente dipinta in chiave misogina, come una perdita di libertà e denaro per il marito. Inoltre, secondo l’ortodossia aristotelica del tempo, la sottomissione della moglie al marito nel matrimonio era considerata come parte dell’ordine naturale, non come un abuso. Le protagoniste de Il merito delle donne si prendono gioco di questo discorso maschile sul matrimonio, ribaltandone i luoghi comuni. Secondo le oratrici del campo pro-donna, infatti, l’unione matrimoniale è il principale strumento di oppressione delle donne. Una discussione sulle umiliazioni subite da parte dei mariti percorre tutto il testo: le amiche protestano contro l’infedeltà, le spese sconsiderate, la violenza e la sorveglianza dei loro compagni, si lamentano dell’isolamento domestico, e insistono sul fatto che le loro aspirazioni non dovrebbero essere limitate all’accudire figli e consorti. Secondo Corinna, l’unione matrimoniale causa alla donna non solo una significativa perdita di denaro ma anche di libertà:
“La donna pigliando marito entra in spese in figliuoli e in fastidi e ha più bisogno di trovar robba che di darla; poiché stando sola senza marito, con la sua dote può viver da regina secondo la sua condizione. Ma pigliando marito […] diventa schiava e perdendo la sua libertà, perda insieme il dominio della sua robba e ponga tutto in preda ed in arbitrio di colui che ella ha comprato […]. Mirate, che bella ventura d’una donna è il maritarsi: perder la robba, perder sé stessa e non acquistar nulla se non li figliuoli che le danno travaglio e l’imperio d’un uomo, che la domini a sua voglia”[11].
In assenza di controllo sul proprio denaro, sostiene Corinna, la donna diventa una merce di scambio tra padre e marito. Con queste parole, Fonte denuncia la sudditanza femminile in ambito economico, esplorando l’interrelazione tra dipendenza finanziaria e assoggettamento all’uomo. Inoltre, se nei trattati misogini si afferma spesso che la donna corrompa l’anima dell’uomo, Corinna ribatte dichiarando che il buon costume del marito deriva sempre dalla moglie: “L’uomo nel matrimonio, cioè unito alla moglie, ha qualche bontà in sé. […] Ma senza questo aiuto, si può dir che sia apunto come la lampada estinta, che da sé non è buona a nulla, ma appiccatovi il lume, fa pur servizio alla casa’’[12]. Elena, appena sposata, rivela che il marito non le permette di uscire di casa: “Una cosa sola mi dispiace, che egli non vole che io mi vada fuori di casa ed io per me non desidero altro”[13]. Quando le viene chiesto se ha intenzione di risposarsi, Leonora risponde: “Più tosto mi affogherei che sottopormi più ad uomo alcuno; io sono uscita di servitù e di pene e vorresti che io tornassi da per me ad avvilupparmi? Iddio me ne guardi”[14]. Anche Cornelia, una delle oratrici del campo pro-donna, si lamenta della brutalità dei mariti: “In modi infiniti siamo noi tormentate da questi carnefici crudeli delle nostre vite e viscere”[15]. Il suo giudizio è interamente sfavorevole al matrimonio:
Quelle donne che vanno poi a marito, o al martirio (per meglio dire) infiniti sono i casi delle loro infelicità […] Vi sono di quelli mariti, che tengono tanto in freno le mogli loro, che a pena vogliono che l’aria le veggia; di modo che quando credono esse, con l’aver preso marito, aversi acquistato una certa donnesca libertà […] si trovano le misere esser più soggette che mai; ed a guisa di bestie, confinate tra le mura, essersi sottoposte, in vece d’un caro marito, ad un odioso guardiano[16].
Come ha osservato Virginia Cox, rispetto ad altri scritti nella tradizione della querelle des femmes, la novità teorica più rivelante proposta dal dialogo consiste nella sperimentazione con il sogno di una vita single e indipendente per le donne. L’esperimento più audace di Moderata Fonte è quindi quello di immaginare un futuro in cui le donne possono decidere liberamente di rinunciare al matrimonio e tutto ciò che comporta.
Il dialogo contiene anche una critica agli storici, colpevoli di aver occultato la presenza femminile nel passato, privando le donne di una linea ancestrale e di un’eredità simbolica:
“Son uomini quei che l’hanno scritta [la storia], i quali non dicono mai verità se non in fallo; ed anco per la invidia e mal voler loro verso di noi; pensate pure che rare volte ne dicon bene, ma laudano il lor sesso in generale e in particolare per laudar se medesmi”[17].
Al contrario, Il merito delle donne omaggia le gesta di donne illustri del passato, raccogliendo un catalogo di eroine valorose, virtuose ed intelligenti. Ognuna di queste figure offre un precedente di eccellenza femminile: alcuni di questi esempi incarnano l’erudizione; qualcuna, come Pantasilea, si è distinta per il talento nel guerreggiare; altre sono emerse nelle lettere, come Saffo.
Moderata Fonte non si limita quindi a contestare la prevaricazione maschile, ma formula anche un’importante pars construens intesa ad illustrare i meriti fisici, morali, spirituali ed intellettivi della donna. Corinna, infatti, ritiene che l’odio degli uomini nei confronti del sesso opposto scaturisca dall’invidia per la superiorità femminile: le donne possiedono una maggiore capacità di amare, e sono per loro natura più inclini alla pietà, all’amicizia, alla compassione e alla virtù. Opponendosi alle nozioni mediche che concettualizzavano il corpo della donna come imperfetto, debole ed irrazionale, le protagoniste affermano che grazie alla sua “natural disposizione e complessione […] fredda e flemmatica”[18] il sesso femminile è predisposto alla temperanza e alla prudenza. Le donne sono dunque esseri razionali, capaci di regolarsi senza aver bisogno di prescrizioni esterne. Pertanto, non si lasciano facilmente travolgere dalla violenza, dai desideri o dalla collera - al contrario degli uomini, la cui complessione “calda e secca”[19] provoca “disordinati appetiti”[20].
L’oasi nel palazzo di Leonora non è completamente rimossa dal resto della città, ed il dialogo di Moderata Fonte rimane irrisolto tra due poli opposti: da un lato vi è l’ambizione di essere accettata come pari nel mondo patriarcale, nella vita pubblica e nelle istituzioni; dall’altro, la discordante aspirazione semi-utopica volta alla creazione di una società protofemminista. Leonora, la cui iniziale combattività viene sostituita da un atteggiamento supplichevole, esemplifica l’attitudine più conciliatoria. Infatti, in conclusione si rivolge agli uomini con un appello mite, formulato attraverso una serie di domande retoriche:
“Carissimi ed amatissimi uomini, […] che ragione avete per non amarci? Deh padri amorevoli, che cagion vi move […] se avete figliuoli maschi o femine, a beneficiar più loro che noi? Non siamo noi forse tanto sangue e carni vostre quanto gli maschi? […] Deh fratelli amatissimi e voi, perché spesso sete tanto crudeli verso le povere vostre sorelle […]? Deh figliuoli dilettissimi e voi, perché causa non istimate le madri vostre, che tanto hanno sofferto per voi? […] E voi mariti dolcissimi, deh non isprezzate le vostre povere mogli, già voi sapete che sete una carne istessa con noi e che solo la morte può separarvi dalla nostra compagnia; perché di grazia ci abbandonate? Perché spesso ci spogliate di nostri beni?”[21]
La presentazione di questa implorazione ne riflette l’ambivalente duplicità: è chiaramente diretta ad un pubblico maschile ostile, ma è enunciata alla sola presenza di donne. La posizione più radicale viene invece verbalizzata da Cornelia, che nelle pagine conclusive esorta le compagne (e, implicitamente, le lettrici) ad abbandonare la società maschile per creare un mondo nuovo:
Possibile che non si potrebbe un tratto metterli un poco da banda con tutti i loro scherni e foie che si fanno di noi, sì che non ci dessero più noia? Non potressimo noi star senza loro? Procacciarsi el viver e negoziar da per noi senza il loro aiuto? Deh, di grazia, svegliamoci un giorno e ricuperamo la nostra libertà, con l’onor e la dignità che tanto tempo ci tengono usurpate[22].
Nonostante il dibattito sia segnato da diversi disaccordi e approcci contrastanti, le sette amiche giungono ad un verdetto condiviso: le veneziane vengono ingiustamente emarginate, trattate come outsiders (o “forestieri”[23]) ed escluse dalle professioni. Le locutrici si rendono pienamente conto di essere imprigionate in una condizione di subordinazione che le espone a molteplici abusi. Corinna, il cui motto è “libero cor nel mio petto soggiorna | non servo alcun, né d’altri son che mia,”[24] si prende gioco della menzogna della superiorità maschile, dicendo:
“Questa preminenza si hanno essi arrogata da loro, che se ben dicono che dovemo star loro soggette, si deve intendere soggette in quella maniera, che siamo anco alle disgrazie, alle infermità ed altri accidenti di questa vita”[25].
Fonte descrive il potere patriarcale come un’egemonia artificiale, fondata non su un’effettiva differenza qualitativa tra i sessi, ma, al contrario, sull’abuso di potere. Il dominio storico dell’uomo sulla donna non è preordinato in natura né il prodotto del volere di Dio, ma viene creato nel tempo attraverso la cultura. Ciò implica che la società patriarcale potrebbe essere soggetta ad esame e cambiamento. Come osserva Leonora:
“Se siamo loro inferiori d’auttorità, ma non di merito, questo è un abuso che si è messo nel mondo, che poi a lungo andare si hanno fatto lecito ed ordinario; e tanto è posto in consueto, che vogliono e par loro, che sia lor di ragione quel che è di soperchiaria; e noi che […] siamo tanto di natura umili, pacifiche e benigne […] siamo loro schiave e non possiamo fare un passo senza domandar loro licenzia; né diciamo una parola, che non vi faccino mille comenti”[26].
Accusando gli uomini di “abuso […] tirannia e crudeltà,”[27] Moderata Fonte esprime una rivalutazione positiva della donna, e dello stare insieme tra donne, fondando una nuova società all’insegna della libertà femminile.
Il merito delle donne è disponibile online: Google Books.
Testo:
Moderata Fonte, Il merito delle donne: ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, a cura di Adriana Chemello (Mirano: Editrice Edios, 1988).
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[1] Moderata Fonte, Il merito delle donne: ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, a cura di Adriana Chemello (Mirano: Editrice Edios, 1988) p. 14.
[2] Ibid, p. 14.
[3] Ibid, p. 13.
[4] Cox, Virginia, “Seen but not heard: the role of women speakers in Cinquecento literary dialogue.” In Women in Italian Renaissance Culture and Society, a cura di Letizia Panizza (London: Routledge, 2000) pp. 385-400; Janet Smarr, Joining the Conversation: Dialogues by Renaissance Women (Ann Arbor: University of Michigan Press, 2005); Helena Sanson, “‘Orsù, non più Signoria, […] Tornate a Segno’: Women, Language Games, and Debates in Cinquecento Italy,” Modern Language Review, 105.1 (2010) pp. 103-121.
[5] Helena Sanson, “Ornamentum mulieri breviloquentia: donne, silenzi, parole nell’Italia del Cinquecento,” The Italianist, 23.2 (2003) p. 199.
[6] Moderata Fonte, Il merito delle donne: ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, a cura di Adriana Chemello (Mirano: Editrice Edios, 1988) p. 17.
[7] Ibid, p. 28.
[8] Ibid, p. 140.
[9] Eleonora Carinci, “Una ‘speziala’ padovana: Lettere di philosophia naturale di Camilla Erculiani (1584),” Italian Studies, 68.2 (2013) p. 217.
[10] Moderata Fonte, Il merito delle donne: ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, a cura di Adriana Chemello (Mirano: Editrice Edios, 1988) p. 125.
[11] Ibid, p. 69.
[12] Ibid, p. 25.
[13] Ibid, p. 16.
[14] Ibid, p. 21.
[15] Ibid, p. 37.
[16] Ibid, p. 33.
[17] Ibid, p. 41.
[18] Ibid, p. 47.
[19] Ibid, p. 47.
[20] Ibid, p. 47.
[21] Ibid, p. 133.
[22] Ibid, p. 169.
[23] Ibid, p. 144.
[24] Ibid, p. 18.
[25] Ibid, p. 26.
[26] Ibid, p. 27.
[27] Ibid, p. 182.